L’anno 2023 è stato caratterizzato da vicende di segno alterno sul piano politico, sociale ed economico. Ormai superata la fase del Covid, sono soprattutto gli eventi internazionali ad influire sul contesto Europeo e, per quanto ci riguarda, sulle dinamiche sociali ed economiche del territorio Veneto, ambito in cui opera Ialanapia come ente di formazione. L’Europa infatti, si trova in una particolare fase storica, legata alle conseguenze geopolitiche e strategiche della guerra in Ucraina prima e della guerra Israelo-Palestinese, senza dimenticare le tante crisi internazionali che spesso non vengono citate dai media, come il Myanmar, il Sudan e l’Honduras per fare degli esempi. Le conseguenze si sono sentite sul piano socio-economico in tutta Europa e nel nostro Paese, con la crescita dei prezzi specie dei prodotti energetici, l’esplosione dell’inflazione, l’aumento dei tassi di interesse. Per dirla in altre parole: prima la pandemia, poi la guerra in Ucraina, la nuova inflazione, la multipolarità mondiale, il riassetto della globalizzazione hanno accelerato tremendamente le dinamiche di trasformazione tecnologiche, ecologiche ed energetiche, industriali, sociali ed economiche.
Questo cambio epocale si evidenzia in un lavoro sempre più ibrido, fluido, flessibile, in cui diventano labili i confini tra rapporto subordinato e autonomo, vita privata e vita professionale. Un lavoro in cui la professionalità e la competenza diventano elementi determinanti come mai in passato, chiavi di accesso a carriere che mandano definitivamente in soffitta il modello taylorista. E che invece si qualificano nella dimensione della responsabilità, della creatività, della partecipazione alle scelte e ai risultati d’azienda.
E’ proseguita quindi per tutto l’anno la fase di grande complessità politica e sociale e di fibrillazione economica che hanno acuito l’incertezza rispetto al futuro, soprattutto se la situazione viene letta alla luce della rivoluzione digitale, che procede speditamente e delle emergenze ambientale (per tutti) e demografica (soprattutto per il nostro Paese). In particolare, al pettine sono arrivate le conseguenze del cosiddetto “inverno demografico” e, oltre alla tenuta dello stato sociale nel medio-lungo periodo, si sono registrate le prime difficoltà nel mondo del lavoro. La ripresa post covid, congiuntamente al calo demografico, ha posto per la prima volta il problema occupazionale, in quanto in generale, anche se in alcuni settori il fenomeno è stato più evidente, vi è stata una scarsità di offerta di Lavoratrici e Lavoratori a fronte di una buona offerta di lavoro. Anche nel territorio veneto tutte queste dinamiche si sono sviluppate sostanzialmente con impatti analoghi, pur con ovvie specificità territoriali, al contesto italiano più generale.
La velocità esponenziale con cui avvengono i cambiamenti, e le implicazioni che ne conseguono, devono porci nella condizione di pensare e agire velocemente. Ormai è noto che abbiamo conosciuto, in questi ultimi anni, nuovi sistemi di produzione, il dualismo tra lavori vecchi e sporchi con nuovi e puliti, la crisi di regole e diritti sociali, il lavoro precario e mansioni non più stabili, la polarizzazione dei lavori (basse e alte competenze), la realtà commerciale e informatica di colossi (amazon, google, Fb, ecc.).
A tutto ciò dobbiamo aggiungere la transizione digitale e ambientale; questi cambiamenti ci pongono anche di fronte alla riflessione su quale possa essere il ruolo della formazione.
L’attuale trasformazione non è solo una trasformazione tecnologica e ambientale, perché sono in atto anche cambiamenti socio-culturali che stanno modificando la percezione delle persone, il modo di immaginare l’impresa, la comunicazione, il saper fare e il saper collaborare e la mentalitàrichiesta dalla nuova economia proiettata verso un futuro sempre più incerto e sempre più legata alle tensioni geopolitiche, ai cambiamenti climatici e alla disponibilità delle risorse idriche e materiali.
Di fatto, la trasformazione digitale ha già determinato importanti cambiamenti in diversi ambiti; per vincere la sfida della competizione, le imprese devono puntare sulle innovazioni di prodotto e di processo. Occorre un’adeguata gestione delle risorse umane (lavoratori) anche attraverso il miglioramento della loro professionalità, del benessere aziendale, attenzionare l’interazione uomo-macchina, aumentare la capacità di far dialogare le persone tra di loro, crescere la centralità del cliente. Per supportare tutto ciò, diventa strategico e sempre più forte l’esigenza di una formazione continua e permanente, che riesca a motivare le persone e a creare gruppi interdisciplinari e collaborativi, che siano efficaci nel gestire le sfide che ci attendono, dentro e fuori i luoghi di lavoro.
In definitiva, la formazione come concepita nel passato, non è più adeguata alle necessità attuali e future e vanno quindi investite più risorse e più tempo. Le risorse per la formazione, per altro, sono oggi disponibili in diverse modalità (pensiamo solo ai fondi interprofessionali), mentre per il tempo da dedicare, occorre un cambio culturale di aziende e lavoratori, che sono spesso restie ad investire il “loro” tempo per la formazione anche di tipo individuale.
Le soft skills, ovvero le competenze non formali, che apparentemente sembrano così lontane dall’automazione e dall’intelligenza artificiale, in realtà, insieme alla leadership (di cui pochissimi ne conoscono davvero il significato), sono, per la persona, fondamentali saperi per lavorare in un contesto collaborativo, digitalizzato e “iperconnesso. Inoltre, e non meno importante, se la tecnologia garantisce la continua disponibilità di ogni genere di contenuto, dall’altro bisogna conoscere e limitare le problematiche che emergono. Perché, per esempio, attraverso i social media e le tecnologie digitali avanzate, si generano effetti, quali un uso eccessivo della posta elettronica e del tempo delle persone fuori orario di lavoro, un uso inappropriato dei social media, un abuso dei telefoni, problemi di concentrazione e di stress generati dal multitasking e difficoltà della gestione della vita privata. La formazione deve dunque, assumere un ruolo determinanteintervenendo su questi effetti, cercando strumenti e metodologie per garantire lo sviluppo delle persone e delle organizzazioni.
Fare formazione significa molte cose. La partecipazione, la condivisione degli obiettivi aziendali, la crescita delle competenze, l’incentivazione alla creatività e al problem solving. Ma quando parliamo della crescita delle competenze, intendiamo anche crescita professionale. I cambiamenti organizzativi e tecnologici del sistema produttivo determinando forti cambiamenti su ruolo e competenze dei lavoratori. Se aumenta la professionalità, in cui magari pesino di più i profili, i ruoli e le abilità, si possono ottenere 3 macro risultati attesi: 1) miglioramento dell’efficienza, dell’efficacia, della produttività e della qualità aziendale; 2) stabilizzazione del rapporto di lavoro e miglioramento della ricerca di nuove opportunità professionali; 3) aumento del salario, che in periodo di crisi inflattiva, può dare una parziale risposta.
La formazione diventa così, oltre che strategica, una opportunità per il datore di lavoro, per il lavoratore, per chi un lavoro lo cerca e per la crescita di tutta la comunità. Tuttavia il sistema della formazione, delle associazioni di categoria e delle istituzioni, dovranno essere capaci di “sensibilizzare, smuovere e provocare” esperienze vere, buone pratiche e sistemi virtuosi che ci vedano performanti, vincenti e un passo avanti.
Rudy Roffarè, presidente Ial Veneto